Il monastero e la città nel XV secolo.

Leonarda Bonsignori è la vincitrice della seconda borsa di studio “S. Rosa”, bandita dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus con il contributo dell’Università della Tuscia, del Comune di Viterbo, della Fondazione CARIVIT e del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa da Viterbo e con il patrocinio gratuito della Provincia di Viterbo e della Diocesi di Viterbo.

La giovanissima studiosa ha proposto una ricerca dal titolo: «Il monastero e la città. Proprietà, amministrazione e territorio nelle carte di Santa Rosa di Viterbo tra XV e XVI secolo».  

 Intorno alla seconda metà del XV secolo, la nuova sensibilità rinascimentale per l’arte ed il decoro urbano, i proventi derivati dal transito dei pellegrini e l’azione munifica di alcuni papi favorirono il rilancio dei maggiori monasteri viterbesi. Il caso di Santa Rosa risulta in questo senso emblematico. Se nel 1415 la comunità religiosa era arrivata a contare appena cinque monache (un numero talmente basso da indurre le autorità comunali a deliberare circa la soppressione del monastero), a partire dal 1437 si assiste ad un graduale processo di ripresa, in termini economici e numerici, culminante nel 1450. Il Giubileo indetto per quell’anno, si rivelò determinante per la fortuna del monastero, non solo perché i pellegrini promossero il culto di Rosa al di fuori del contesto locale, ma soprattutto per le generose elemosine, che fruttarono circa 5000 ducati d’oro alla comunità religiosa. La somma, inizialmente causa di controversie con il Comune (che intendeva appropriarsene per portare a termine il processo di canonizzazione di Rosa), fu infine destinata ai lavori di ristrutturazione ed abbellimento del complesso monastico. Sempre in questo periodo, il monastero iniziò ad estendere il suo patrimonio fondiario, inserendosi pienamente nella vita economica della città. Tale fortuna andò esaurendosi nel corso dei primi decenni del Cinquecento, «ob defectum elemosinarum» (per mancanza di elemosine) e poiché, in seguito all’acquistato prestigio, la comunità era diventata così numerosa da renderne difficoltoso l’approvvigionamento.

Proprio negli anni di massimo splendore del monastero fu composto un registro, depositato presso il medesimo archivio conventuale, contenente quindici documenti (di cui nove originali e sei copie autenticate). Il contenuto eterogeneo del registro offre l’occasione per approfondire interessanti spunti tematici, legati alla vita economica del monastero e alla sua progressiva affermazione nel contesto urbano ed agricolo viterbese.

Tra questi documenti, infatti, si trova un inventario dei beni immobili del monastero, che consente di ricostruirne il patrimonio fondiario, oltre a restituire un panorama delle colture e delle tecniche praticate. Un altro argomento di interesse riguarda la gestione delle risorse idriche e degli impianti molitori, spesso causa di controversie tra le monache e altri membri della comunità viterbese. Ad esempio, si legge di una disputa nata tra le monache e i priori per i diritti sulle acque del Respoglio o di un compromesso tra il monastero di S. Rosa e quello di S. Francesco relativo alla spartizione di territori e risorse idriche nel territorio di Respampani. Si trovano, infine, vari contratti di enfiteusi a piccoli agricoltori, contratti di vendita di terreni, permute e donazioni. Tutti documenti che dimostrano come, in questa fase, la comunità di santa Rosa riuscì ad inserirsi vivacemente nella vita economica locale, ricorrendo perfino al tribunale pur di far valere le proprie prerogative.

Leonarda Bondognori si propone di curare l’edizione di questo registro ad oggi ancora inedito e di inserire il suo contenuto documentario nella vita quattrocentesca del monastero, rispetto ai suoi rapporti con le istituzioni cittadine e alla sua progressiva affermazione economica nel contesto locale.