Tempo di Avvento, tempo di attesa… Intanto però la Natività si prepara a fare il suo ingresso nelle case. Quello del Presepio rappresenta l’elemento senza tempo per eccellenza al centro della devozione popolare cristiana, molto più del laico albero di importazione nordica, sebbene tragga origine da tradizioni tardo antiche e medievali. Ne rintracciamo le primitive testimonianze già all’interno dei reperti sepolcrali romani, come nel caso delle pitture rinvenute a Roma nelle Catacombe di Priscilla lungo la Via Salaria (III° sec.), o i bassorilievi del Sarcofago di Adelfia estratto dalle Catacombe siracusane di San Giovanni (IV sec.).
Per giungere a quell’usanza, tipicamente italiana nei primordi, poi estesa a tutto il mondo cristiano, di raffigurare la scena della Natività bisogna però attendere l’intuizione del Santo di Assisi, quando questi, di ritorno dal suo viaggio in Terra Santa, dove era rimasto particolarmente colpito alla visita di Betlemme, pensò di rievocare la nascita di Gesù in un piccolo borgo dell’Appennino umbro a lui caro che trovava tanto simile alla città palestinese. Ottenuta preventivamente un’autorizzazione da papa Onorio III e successivamente il nulla osta del castellano di Greccio, Francesco diede forma per la prima volta in quel luogo alla riproduzione della sacra scena. In quella primissima rievocazione nella notte di Natale del 1223 c’erano solo la grotta, il bue e l’asino; nessuno prese i ruoli di Gesù, Maria e Giuseppe per non darne un eccessivo spettacolo. I popolani accorsi ad assistervi divennero invece inconsapevolmente parte di un quadro più grande, oggetto in futuro per innumerevoli riferimenti.
Tommaso da Celano, biografo del Santo, descrive così la scena nella prima Vita:
“Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora la semplicità, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme”.
Su impulso di quanto san Francesco aveva fatto a Greccio, ben presto l’iconografia sacra avrebbe riservato un grande interesse a questo soggetto evangelico, attraverso una produzione iconografica destinata a divenire nel tempo sempre più cospicua e fortunata. Dai primi affreschi realizzati da Giotto ad Assisi per la Basilica Superiore o a Padova per la Cappella degli Scrovegni, al primo esempio di gruppo scultoreo eseguito da Arnolfo di Cambio nel 1283 ed oggi conservato nella cripta della Basilica di S. Maria Maggiore a Roma, il Presepio via via passò dall’ambito prettamente artistico a quello popolare, soprattutto a seguito del Concilio di Trento, per poi consacrarsi definitivamente a partire dal sec. XVIII° con la nascita delle grandi tradizioni presepistiche regionali in pieno periodo Barocco.
A Roma, in particolar modo, “esplodeva” l’arte dei “Pupazzari” che si specializzò proprio nella produzione di statuine in terracotta per la costruzione dei presepi tridimensionali. A Napoli invece la tradizione presepistica ha trovato una dimensione del tutto particolare, divenendo parte non secondaria del patrimonio storico, artistico e culturale della città, tanto da far affermare al locale collezionista Michele Cuciniello che «il presepio è Vangelo tradotto in dialetto partenopeo».
La ricchezza simbolica ed allegorica del presepio napoletano generò infatti un decalogo di “regole” da seguire più o meno pedissequamente per la realizzazione di un’opera in cui la Natività doveva trovare spazio all’interno di un contesto molto più ampio, riuscendo a catturare l’attenzione dell’osservatore pur non posizionandosi necessariamente al centro della scena. Immancabile quindi trovare elementi come lo scoglio di sughero che si presta a collina, ma anche a sistema di grotte e ricoveri per personaggi di contorno come artigiani e pastori; le vestigia di un anonimo tempio romano dove il più delle volte trova rifugio la Sacra Famiglia, l’elemento dell’acqua imbrigliato sotto forma di rivo, specchio, fontanili o pozzi, oppure gli stessi Magi che giungono in visita a Gesù, i quali, più che come antichi sacerdoti zoroastriani dalla remota Persia, sono riproposti in sfarzosi abiti orientali che risentono molto del gusto turco-ottomano settecentesco. Questi ultimi personaggi hanno rivestito un ruolo fondamentale anche nella durata del presepio. In molti casi infatti esso rimaneva esposto fino al 2 febbraio, la Candelora, giorno in cui secondo la tradizione i Magi ripartirono da Betlemme.
La ricchezza di particolari, la minuziosità nel replicare scene di vita contadina o popolare contemporanea, affiancate anche da un supporto tecnologico sempre più sofisticato, ma soprattutto le dimensioni considerevoli di queste opere di ingegno portarono infine alla costruzione anche di presepi permanenti all’interno di palazzi nobiliari o vescovili, in chiese e monasteri.
Uno di questi è possibile ammirarlo presso il Monastero di S. Rosa a Viterbo, precisamente all’interno della Casa della Santa. Tutto ebbe inizio quando un sacerdote del viterbese, Mons. Aroldo Gasbarri, già arciprete di Oriolo Romano negli anni ’30 del secolo scorso, poi divenuto Economo del Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide, ricevette in dono un folto gruppo di statuine in legno d’acero intagliate a mano e dipinte con colorazioni ad olio dai maestri artigiani della Val Gardena. Si trattava dei personaggi tipici del presepio sud-tirolese, alcuni dei quali anche con repliche in pose diverse, utili a rappresentare più di una scena. Il sacerdote le conservò gelosamente per tutta la vita, ma promise che un giorno queste sarebbero andate al monastero della patrona di Viterbo a cui pare fosse molto devoto…e così avvenne.
Le statuine giunsero a Viterbo nei primi anni ’70 e vennero temporaneamente impiegate per allestire un presepio nel Santuario. Per motivi logistici si scelse poi di spostarle presso la Casa di s. Rosa in attesa di trovare loro una sistemazione più consona. L’occasione si presentò proprio quando nel 1980 le monache Clarisse iniziarono delle opere di ristrutturazione della Casa al fine di consentire una maggiore fruizione da parte dei pellegrini. In quell’occasione si scelse di mettere mano anche al piano superiore dove, da secoli, resistevano ancora in condizioni molto precarie un antico fienile e una nicchia incavata nel muro che, secondo la tradizione, corrispondeva alla cella in cui si ritirava la Santa.
L’intenzione delle monache era quella di ricavare uno spazio ad hoc per la costruzione di un grande presepio permanente dove poter ricreare l’ambiente in cui si svolse la vita di Gesù ed utilizzare le pregiate statue lignee per trasporvi i racconti evangelici. Grazie allo sforzo di alcuni volontari del Monastero, sotto la meticolosa regia di Suor M. Celeste Ciancialla, in poco tempo venne completato un presepio poliscenico di circa 15 mq suddiviso in sette “quadri” che vanno dall’Annunciazione a Maria fino ad arrivare persino alla Resurrezione di Gesù, passando ovviamente per la scena della Natività, riproposta in due quadri distinti per permettere l’aggiunta dei Magi scortati da maestosi elefanti, dromedari e camelli ed infine l’ambientazione della fuga in Egitto (idealizzata nella forma della “cornice” e soprattutto nella presenza in primo piano di una grandiosa sfinge).
Per realizzare le scenografie dello sfondo venne presa ispirazione da alcune delle trecento fotografie dei paesaggi palestinesi eseguite in esclusiva per una rara pubblicazione che si conservava in Monastero, “Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli” (Traduzione e note di P. Angelico Poppi o.f.m. conv., Edizioni Messaggero, Padova, 1961). Oltre che per la completezza della narrazione, questo presepio si distingue pertanto per la grande attenzione riservata ai particolari. Ogni personaggio, casa o albero è disposto in maniera tale da rispettare le dovute proporzioni nelle distanze prospettiche. Il cielo e le montagne sullo sfondo presentano inoltre un meccanismo aurora-tramonto in rigenerazione automatica, così come avviene per il passaggio della stella cometa; il tutto proiettato sul telo bianco che fa da quinta. Completa l’insieme un sottofondo sonoro fatto di rumori di acqua in movimento e un leggero accompagnamento musicale
Nel tempo, va detto anche che il presepio permanente della Casa di s. Rosa ha subito diverse opere di ristrutturazione, soprattutto dopo nuovi lavori di sistemazione che hanno interessato il tetto del locale, che ne hanno impedito la fruizione per alcuni anni. Molti sono stati i volontari che si sono susseguiti nel corso del tempo per fornire anche solo piccoli contributi, tutti utili alla manutenzione del presepio artistico di S. Rosa. Tutt’oggi esso necessita infatti di continue accortezze per far sì che possa essere sempre conservato e trasmesso a chi sceglierà di venire a visitarlo.