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La rosa perseguitata

Seconda Parte: Sulle tracce di santa Rosa in Messico a cura di Stefano Aviani Barbacci

Vai alla prima parte.

Nell’immagine di copertina:

Santa Rosa da Viterbo che fu a Colón con le Rositas portata in processione a Querétaro

La storia delle Rositas inizia il 23 Aprile del 1670 con la decisione della vedova Antonia de la Encarnación de Herrera e delle figlie Francisca de los Ángeles, Clara de la Asunción e Gertrudis de Jesús y María di dedicarsi a una vita di preghiera e servizio, accogliendo bambine orfane nella propria abitazione. Nel 1702 il francescano José Díaz formalizza una regola per la vita comune e fa di Francisca de los Ángeles (1674-1744), mistica e veggente fin dall’età di 5 anni, la prima responsabile di un Beaterio destinato a diventare in breve tempo il Colegio e poi il Real Colegio di Querétaro, tra le più importanti istituzioni religiose nella storia del Messico. In grado di leggere e scrivere, Francisca ci ha lasciato una corrispondenza di centinaia di lettere (in parte ancora inedite) di straordinario interesse per chi voglia indagare la religiosità dell’epoca del Virreinato e la fede appassionata di una giovane creola che Ellen Gunnarsdottir, nel suo “Mexican Karismata” (2004), definisce un sorprendente “intreccio di ortodossia tridentina, spiritualità medievale e cultura popolare messicana”. Questo mondo sarebbe in larga misura scomparso con le “Leggi di Riforma” promulgate, tra il 1855 e il 1860, da governi determinati a recidere ogni elemento di continuità con l’epoca novohispana e a cancellare la persistente influenza della Chiesa cattolica nella vita del popolo messicano. L’applicazione intransigente di tali leggi alimenterà un conflitto latente tra élite e popolo, destinato ad esplodere nel 1926 con l’insurrezione cosiddetta dei cristeros.

Nel 1863 le Rositas sono espulse dal Colegio de Santa Rosa de Viterbo per effetto della Ley de Nacionalización de los Bienes Eclesiásticos (del 12 Giugno 1859). Ciò nonostante, si trattengono a Querétaro ancora per quattro anni, dapprima sistemate nel Convento de Santa Clara (ora confiscato, ma che era stato tra i più importanti del periodo novohispano) e poi riabitando alcuni locali caduti in rovina del Colegio de Santa Rosa de Viterbo. In questo periodo accolgono ancora 5 novizie. Nel 1867 i repubblicani di Benito Juarez espugnano Querétaro dopo un duro assedio e fucilano l’arciduca Massimiliano d’Asburgo (Imperatore del Messico dal 1864 al 1867). A tutti i religiosi è imposto di abbandonare la vita consacrata e disperdersi. Preparatesi da tempo a questa eventualità, le più giovani tra le Rositas si incamminano lungo il sentiero che attraversa la Sierra Gorda, determinate a ricominciare altrove la vita di comunità. Le guida Madre Teodosia (María Teodosia de la Conceptión). Sarà una vera epopea, attraverso una regione montuosa e selvaggia, dovendo evitare i luoghi più frequentati e le pattuglie dei militari, camminando scalze lungo le mulattiere sassose, dormendo all’addiaccio e talora sotto la pioggia, soffrendo la fame e la sete… Sfinite, giungono infine a Tolimanejo (oggi Colón) il 15 Settembre 1868 (la data è riportata in un manoscritto di Madre Teodosia del 1904) dove sono soccorse dalla popolazione. Tre di loro si ammalano e perdono la vita. Alcune altre proseguono per stabilirsi a Cadreyta, presso la locale Capilla de laInmaculada Conceptión.

Cacciata di Rosa da Viterbo, dalla “Vida de Santa Rosa da Viterbo” di José de Nava

In un periodo successivo è inviata loro da Querétaro una raffigurazione scultorea di Santa Rosa da Viterbo (come venne riferito da Madre Paz al giornalista José Manuel Escobedo, il 4 Maggio 1987), preziosa opera della fine del XVII secolo o dell’inizio del XVIII, vestita di un abito di broccato e con al collo un prezioso medaglione con l’immagine della Vergine Addolorata. Giungono anche alle Rositas una statua di San Francesco d’Assisi e un Bambin Gesù, della seconda metà del XIX secolo, lavoro di un ebanista di Città del Messico. Si svolge di nuovo il “capitolo” e la vita religiosa prudentemente riprende nell’epoca in cui Porfirio Diaz governa il Paese (1872-1911). Il suo governo non abroga le leggi anticlericali preesistenti, ma (essendo la moglie cattolica) si astiene dal richiederne una rigida applicazione. Tolimanejo (già missione francescana col nome di San Francisco di Tolimanejo) viene unita alla vicina Soriano (già missione domenicana col nome di San Domingo de Soriano) e alle haciendas di Zamorano e Ajuchitlán dando luogo a una medesima parrocchia dal 1825 e ad un medesimo municipio, col nome di Colón, dal 1885. Il convento delle Rositas è prossimo alla parrocchia, con un terreno riservato per le sepolture nel vicino cimitero di San Francesco. La regola torna quella dell’epoca di Querétaro che prevede la clausura (nei limiti delle concrete possibilità) e un tunnel permette loro di attraversare la strada per recarsi, non viste, nella chiesa parrocchiale di San Francesco. Tra le novizie che entrano nel periodo colonense: Maria de la Paz (Madre Paz), al secolo Pomposa Garduño (Orduño in alcune fonti), nata il 19 Settembre 1875 ad Amealco, professa nel 1893 (a 18 anni).

Si era già deciso di accogliere solo quelle giovani che consentissero di tener fermo il numero di 12-13. Dopo il 1913 la vita religiosa in Messico precipita ancora in una condizione di precarietà estrema. Una mostra allestita nel Marzo del 2019 a Querétaro ricorda le difficili circostanze di quel periodo e riferisce al 1918 l’ultimo ingresso di una novizia nella comunità (senza più alcuna possibilità di indossare l’abito). Una casseruola di rame e le paginette sgualcite di un ricettario documentano una produzione di dolci (tra i quali i canditi preparati con frutti selvatici raccolti sui monti di Zamorano) la cui vendita consentiva alle Rositas di sopravvivere. Di grande interesse storico il manoscritto titolato: “Copia de las Constituciones del Colegio de Santa Rosa de Viterbo”, iniziato, come si legge in calce, il 26 Maggio del 1867, poco prima dell’abbandono di Querétaro. Agli inizi degli anni ’20 la vicenda di quella comunità è ormai prossima a concludersi dato che, come rievoca Rosa María Cabrera Ruiz nel suo “El ciclo de vida de un espinoso rosal” (2017), la Guerra Cristeranon avrebbe risparmiato quel municipio e l’inasprirsi della persecuzione avrebbe causato infine l’estinguersi di quella secolare e significativa esperienza di vita religiosa.

La Guerra Cristera (1926-1929) inizia quando la politica anticattolica raggiunge il suo acme sotto la presidenza del massone Plutarco Elías Calles (1877-1945), uno dei generali che avevano contribuito alla sconfitta di Francisco “Pancho” Villa nel 1915. Dal 1924 Calles domina il Paese con pugno di ferro. Il suo partito si definisce dapprima “laburista” e poi “rivoluzionario istituzionale”. Intransigente fautore di una politica cosiddetta “modernizzatrice”, Calles guarda con simpatia alla neonata Unione Sovietica, ma al tempo stesso si procura l’appoggio degli Stati Uniti in cambio di concessioni sullo sfruttamento del petrolio di cui il Messico si scopre ricco. Di nuovo a rischio d’esser catturate, le ultime Rositas lasciano il convento (oggi in via Francisco I, Madero n. 122) il 19 Dicembre del 1926. Alcune tornano ai propri villaggi, altre trovano rifugio presso le famiglie del luogo. Due sacrestani sono già stati fucilati e chi le accoglie sa bene che i federales passano per le armi non solo i religiosi, ma chiunque li aiuti… Alessandro Finzi, nel suo Santa Rosa in Messico” (2006), riporta un episodio emblematico al riguardo (già riferito da Madre Paz alla signora María de la Luz Gutiérrez Zarazúa che le era stata vicina negli ultimi suoi anni di vita): “una volta le fermò un gruppo di soldati, ma quando questi videro Madre Guadalupe (María de Guadalupe Becerra, di Pinal de Zamorano, l’ultima priora della comunità) con il Bambin Gesù avvolto in uno scialle, il Capitano disse: ‘Lasciatele andare, hanno un bambino in braccio’ (ogni volta che uscivano portavano con loro il Bambin Gesù) e per questo si salvarono”.

Il 4 Febbraio 1928, Colón insorge. Un centinaio di miliziani, al seguito del comandante cristero Manuel Frías, si radunano presso il Rancho El Derramadero per filtrare poi tra le case imbracciando fucili máuser (come da una testimonianza). L’impresa riesce e i ribelli si impadroniscono del municipio. Al fianco di Frías vi sono eminenti colonensi coinvolti nella causa degli insorti. Percorrono insieme la via principale (che oggi è il Corso Michoacán) applauditi dalla popolazione e le campane di Colón suonano a festa per salutare la liberazione. Raggiungono infine la popolare Basilica de Soriano, nella parte della città conosciuta ancor oggi come Soriano de Colón. Il santuario accoglie un’immagine sacra assai venerata e cara alle stesse Rositas, quella di Nuestra Señora de los Dolores. I ribelli vi entrano per ringraziare e rendere omaggio a quella che popolarmente è conosciuta come “la Dolorosa”. I cristeros si considerano un esercito regolare, l’Esército Nacional Libertador, costituitosi in difesa della libertà religiosa e per la salvezza del Paese dalla tirannia. La loro bandiera si ispira a quella portata in battaglia da Emiliano Zapata negli anni ’10, con la Vergine di Guadalupe e i colori del Messico. Colón tornerà sotto il controllo dei governativi solo il 19 Luglio del 1929, un mese dopo la firma degli accordi (i cosiddetti “arreglos”) che mettono fine alla Guerra Cristera. Un gruppo di guardias blancas, sostenute dalla popolazione locale, continuerà ad operarvi contro i governativi fino al 1940.

Il “Niño Dios de las Rosas” che appartenne alle Rositas, oggi a Soriano de Colón

Dopo la guerra, espropriato il convento, Madre Paz e Madre Guadalupe devono recarsi a Città del Messico per lavorare e mettere insieme il denaro sufficiente a comprare una nuova casa. Troveranno una modesta sistemazione (tre stanze, una cucina e un orto) a Soriano di Colón e sarà dunque questo il luogo del loro ultimo esilio. Questa circostanza appare sorprendente, essendo stata Santa Rosa da Viterbo, nel 1251, esiliata lei stessa in un luogo di nome Soriano, oltre i monti Cimini del viterbese. Li si stabiliscono la Madre Guadalupe e la Madre Paz, con Madre Luz [Si tratta di Maria de la Luz de Olvera, di Ajuchitlán, morta a Colón in fama di santità e di cui Madre Paz testimoniò di aver ritrovato il corpo incorrotto e profumato al momento della sepoltura di Madre Guadalupe (Madre Luz era stata sepolta nel medesimo luogo 10 anni prima)], Madre Cholita e la signorina Celestina, che vive con loro pur non essendo professa. Qualcun’altra è tornata ai villaggi d’origine. Madre Paz è quell’ultima Rosa di cui narra il sociologo e giornalista queretano José Felix Zavala nel suo “La última Rosa: Pomposa Garduño” (2011). Rimasta sola, assistita da quella medesima famiglia Gutiérrez che l’aveva nascosta negli anni della Guerra Cristera, Madre Paz muore nel 1987 alla veneranda età di 112 anni: 317 anni dopo la nascita del Beaterio de Santa Rosa de Viterbo. Per sua volontà, la statua di Santa Rosa da Viterbo era già tornata a Querétaro nel 1985, quella del Bambin Gesù (con la quale Madre Paz amava confidarsi e parlare) si trova invece a Soriano de Colón, nella medesima Basilica de la Virgen Dolorosa dove restava esposta alla devozione dei colonensi nei giorni compresi tra il 24 Dicembre e il 6 Gennaio, inserita tra le altre figure del Presepe. Il Bambin Gesù grazie al quale Madre Guadalupe aveva avuto salva la vita lo si conosce oggi come “el Niño Dios de las Rosas” e gli si attribuiscono molti altri miracoli. Madre Paz è rimasta a Soriano di Colón, sepolta in una delle cappelle del Santuario de la Dolorosa, vicina dunque al “suo” bambino.

Il Centro Studi al 53° Convegno Internazionale della Ceramica

Si svolgerà il 9 e 10 ottobre a Savona il 53° Convegno Internazionale della Ceramica, promosso dal Centro Ligure per la Storia della Ceramica, nelle due sedi del Civico Museo Archeologico e del Complesso monumentale del Priamàr.

Il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo partecipa attraverso la relazione tenuta da Eleonora Rava, insieme con Beatrice Casocavallo, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, Noemi Giovino e Flora Miele, entrambe dell’Università Sapienza di Roma.

La loro relazione, intitolata Dalla novizia alla badessa: l’ingresso al monastero di Santa Rosa a Viterbo raccontato dalla ceramica, è prevista nella sessione pomeridiana del 9 ottobre, a partire dalle 14.30.

Il programma del convegno è disponibile cliccado qui.

Giornata di studi: 1450. Il Giubileo di santa Rosa

Sabato 10 settembre

con il finanziamento del Comune di Viterbo e della CARIVIT
h. 10-18 – Palazzo Brugiotti: via Cavour 67 – Viterbo

Programma

10:00   Saluti delle autorità
10:20   Agostino Paravicini Bagliani:  I giubilei nella storia della Chiesa

Prima sessione: I giubilei quattrocenteschi e i nuovi santi francescani
Introduce e presiede Alessandra Bartolomei Romagnoli
10:45     Gábor Klaniczay: I processi di canonizzazione nel primo Quattrocento: dalla crisi alla ripresa della ‘fabbrica dei santi’
11:10     pausa
11:25     Letizia Pellegrini: 1450: il processo di canonizzazione di Bernardino da Siena
11:50     Attilio Bartoli Langeli e Filippo Sedda: 1456-57: il processo di canonizzazione di Rosa da Viterbo. Una iniziativa di Giovanni da Capestrano?
12:15     Alfredo Cento: 1475-76: il processo di canonizzazione di Bonaventura da Bagnoregio

Seconda sessione: Viterbo e il monastero di Santa Rosa intorno al 1450
Introduce e presiede Angela Lanconelli
15:00     Anna Esposito: Viterbo nel Quattrocento
15:25     Eleonora Rava: La cronaca del 1450
15:50     Elena Giulia Espositi e Marco Espositi: La fabbrica di Santa Rosa
16:15     pausa
16:25     Massimo Giuseppe Bonelli: Tra suggestioni rinascimentali e persistenze tardogotiche: l’arrivo di Benozzo Gozzoli a Santa Rosa e la cultura figurativa viterbese della metà del Quattrocento
16:50     discussione generale

Sabato 10 settembre, ore 21

Piazzetta di Santa Rosa

Concerto Tra note di preghiera.

Un pellegrinaggio musicale lungo la via Francigena
in collaborazione con l’Associazione Centro Studi Cesare Dobici
Wanda Folliero, violino
Ferdinando Bastianini, pianoforte
Corale San Giovanni diretta da Maria Loredana Serafini

Mostra: 1450. Il Giubileo di santa Rosa

Monastero di Santa Rosa, Chiostro

Si esporranno i due codici del processo di canonizzazione (1457), le lettere pontificie, cardinalizie e comunali relative al medesimo processo (per lo più munite di sigilli in perfetto stato di conservazione), le lettere pontificie di con­cessione di indulgenze in favore del monastero e dei suoi sostenitori. Inoltre saranno proiettate le immagini digitali dei manoscritti di Parma e Parigi conte­nenti la Vita e i miracoli di santa Rosa.

Orario apertura:

1-4 settembre : h. 9.00-20.00

5-11 settembre: h. 9.00-12.30/ 14.30-20.00

Dibattito sul libro di Alessia Lirosi “Libere di sapere”

Le donne, il loro diritto allo studio. Il monastero di Santa Rosa con le sue suore più o meno erudite, che scrivono cronache giacenti ancora inedite. La capacità scrittoria della donna che già nel medioevo si emancipa da uno stato di sottomissione ai chierici tutti uomini, sono i temi che si affronteranno l’8 marzo prossimo, festa della donna, alla ore 17.30, presso il Palazzo dei Priori nel comune di Viterbo.
8 marzo 2016, ore 17.30

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Attilio Bartoli Langeli intervista Amedeo Feniello, autore de “Il bambino che inventò lo zero”

La storia raccontata da Amedeo Feniello, liberamente ispirata alla vita del grande matematico pisano Leonardo Fibonacci (1170-1240) – che con il suo “Liber abbaci” è da sempre ritenuto essere stato il primo a introdurre in Europa i numeri arabi, la numerazione posizionale, e il segno “0” – ci offre l’occasione per rendere nota una straordinaria scoperta del prof. Attilio Bartoli Langeli e per riconoscere il debito culturale dell’Occidente nei confronti del mondo arabo.
7 marzo 2016, ore 18

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Festa di Santa Rosa 2013: eventi culturali organizzati dal CSSRV

Mostra 31 agosto – 8 settembre presso il chiostro del monastero di Santa Rosa

a cura di Mauro Galeotti

video dell’inaugurazione della mostra “Per grazia ricevuta. Le tavolette votive di santa Rosa”, con un saluto di Attilio Bartoli Langeli e una visita guidata dei curatori Filippo Sedda ed Eleonora Rava

Per grazia ricevuta. Le tavolette votive di santa Rosa

Gli ex-voto sono veri e propri atti di fede; sono modi di pregare, venerare e ringraziare Dio, la Vergine e i Santi patroni. Essi sono lo spontaneo tributo di riconoscenza per una grazia ricevuta.

Un tempo il monastero di Santa Rosa di Viterbo possedeva molti ex-voto e di vario genere, come attestato dal processo callistiano del 1457, ma gran parte di essi sono andati irrimediabilmente perduti.

La mostra intende esporre 41 tavolette votive di santa Rosa mai prima d’ora esposte in originale. Esse sono databili tra il xvii e il xx secolo e costituiscono non solo preziose testimonianze di culto e devozione ma anche esempi di arte popolare, di notevole interesse pittorico, artistico e antiquario.

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VIDEO di spiegazione della mostra: a cura di Mauro Galeotti

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Conferenza 31 agosto ore 16:15 presso la Sala del Pellegrino

Alessandro Finzi: Immagini di santa Rosa nel mondo

 Alessandro Finzi, già professore ordinario presso l’Università della Tuscia, ha numerose pubblicazioni scientifiche sul culto di santa Rosa in area ibero-americano. Recentemente ha condotto uno studio su un famoso capolavoro di Bartolomé Esteban Murillo, esposto al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, con il quale dimostra che il quadro rappresenta senza ombra di dubbio santa Rosa da Viterbo e non santa Rosalia da Palermo. Attualmente è il presidente del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.

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Conferenza 4 settembre ore 17:00 presso la Sala del Pellegrino

A. Vauchez: Santa Rosa, una santa per la città

André Vauchez, studioso di chiara fama internazionale, è uno specialista di storia della santità e della spiritualità medievale. Già direttore dell’École française di Roma; presidente dell’Académie des inscriptions et belles-lettre; membro dell’Accademia nazionale dei Lincei; dell’Accademia romana di Archeologia; dell’Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique; già direttore della rivista Revue Mabillon; è membro del Comitato di garanzia del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.

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Conferenza 5 settembre pomeriggio

organizzata dalla Fondazione Carivit presso la propria sede alle ore 18.00

André Vauchez: San Francesco d’Assisi

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Workshop 7 settembre 2013, h. 10.00

Il Centro Studi per la storia di santa Rosa, di Viterbo, della Tuscia

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Conferenza

di Eleonora Rava su  “Fu a Viterbo, non è molto…” Castità violate nella Viterbo medievale”.

Nella Viterbo del XIII secolo, nell’età di Federico II e di s. Rosa,  alcune donne vivono una  complessa esperienza di fede rinunciando a vivere in famiglia o nei monasteri e proponendosi come modelli per nuovi ruoli femminili in una società totalmente maschilista.

inizio conferenza Mercoledì, 10 luglio ore 19:00

per saperne di più clicca qui

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Presentazione

del libro I riti festivi

atti del decimo e undicesimo incontro di “Tra Arno e Tevere”

tra i relatori la dott.ssa Eleonora Rava

20 giugno 2013 alle 16.30

presso la Fondazione Carivit,

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Convegno

Monastero Buon Gesù di Orvieto

in collaborazione con

Centro Studi Santa Rosa di Viterbo

Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani

della Pontificia Università Antonianum di Roma

 

Donne e culto eucaristico

L’Eucarestia nella vicenda agiografica di s. Chiara, s. Rosa

e il Miracolo di Bolsena

sabato 18 maggio 2013

Monastero Buon Gesù – Via Ghibellina, 4 – Orvieto

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Cronaca di Orvieto

di Pietro Messa

Organizzato dal Monastero Buon Gesù di Orvieto in collaborazione con il Centro Studi Santa Rosa di Viterbo e la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma, sabato 18 maggio presso il suddetto Monastero si è svolto l’incontro Donne e culto eucaristico. L’Eucarestia nella vicenda agiografica di s. Chiara e s. Rosa e il Miracolo di Bolsena.

Nei saluti inziali è stato ricordato che tale appuntamento è stato organizzato in occasione del Giubileo eucaristico che la Diocesi di Orvieto-Todi sta celebrando in occasione del 750° Anniversario del Miracolo Eucaristico di Bolsena (1263) e della bolla Transiturus con cui papa Urbano IV (1264) istituì la festa del Corpus Domini.

La prof. suor Mary Melone con la relazione L’istituzione della festività del Corpus Domini e il miracolo eucaristico di Bolsena ha richiamato che tali avvenimenti vanno contestualizzati all’interno dei cambiamenti in atto in ambito teologico in quel periodo, soprattutto in merito alla lettura simbolica. Ciò ebbe dei riflessi anche nella concezione dell’Eucaristia, da alcuni considerata solo come un simbolo senza alcuna presenza reale; un Sinodo tenutosi a Roma invece affermò che vi è una trasformazione reale nel pane e vino consacrato. Accanto a ciò va considerato il recupero in atto della meditazione e considerazione dell’umanità di Cristo, con un accresciuto desiderio di vedere Gesù. In questo contesto si comprende che il rito dell’elevazione per vedere l’Eucaristia durante la celebrazione diventi un momento importante al fine di una comunione visiva, la manducatio per visum, equiparata alla comunione sacramentale, la manducatio per gustum. Così si diffonde l’adorazione eucaristica, compaiono i tabernacoli – sempre più centrali ed evidenti – e la processione del Corpus Domini.  Si può affermare che l’istituzione della festa del Corpus Domini nel 1264 da parte di Urbano IV è il coronamento di una devozione diffusa a livello popolare.

Eleonora Rava, illustrando Le recluse e il Corpus Domini, evidenzia che la devozione eucaristica si ritrova anche nelle sante recluse, di cui ci è pervenuta una vita. In esse meditazione della Passione del Signore, culto eucaristico e povertà volontaria sono aspetti legati tra loro. Tale devozione eucaristica è testimoniata dai testi agiografici, anche se bisogna notare che vi sono differenze di tipo geografico-politico più che temporale. In Italia la pietà eucaristica da alcune recluse è ritenuta basilare, ossia una questione “di vita o di morte”. Naturalmente nasce la domanda se alcune affermazioni siano da considerarsi dati storici oppure meri modelli agiografici.

Suor Clara Fusciello, clarissa del Monastero di Orvieto, ha presentato  Santa Chiara d’Assisi e il culto eucaristico prendendo spunto dall’iconografia della Santa assisana che spesso la raffigura con l’ostensorio in mano. Se Cristo è centrale negli scritti di Chiara si deve ammettere con Giovanni Pozzi che il pensiero di Chiara è frutto anche della prolungata e continua meditazione degli scritti di Francesco d’Assisi. Dopo aver ricordato che gli scritti di Chiara sono tutti rivolti a donne – le lettere ad Agnese di Boemia, la Regola e il Testamento alle sorelle – Clara Fusciello ha affermato che la liturgia è performativa anche per la comunità di San Damiano.

Il prof. Marco Bartoli illustrando Santa Rosa e il culto eucaristico fin dall’inizio ha ammesso che le notizie circa l’Eucaristia nella vicenda della Santa viterbese sono scarne. Tuttavia ampliando la prospettiva a ulteriori donne quali ad esempio la beata Elena Enselmini di Padova, Margherita Colonna e altre ha mostrato come nella devozione eucaristica vi è stato un incontro fecondo tra teologia colta e culto popolare.

Concludendo il partecipato incontro è stata ribadita l’importanza formativa e culturale di momenti simili, dato che nel presente il rischio non è quello di uno scontro di civiltà – come spesso si sente ripetere – ma uno scontro di ignoranze.

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Seminario di Studio

15 marzo 2013 h. 16.00

Viterbo

Centro Diocesano di Documentazione per la storia e la cultura religiosa Viterbo

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o al sito del Ce.di.do.

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Presentazione libro

Mercoledì 06 marzo 2013 – ore 19,00 

Monastero S. Rosa – Viterbo

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Seminario di Studio

Giovedì 17 gennaio 2013 – ore 15,00

Pontificia Università Antonianum – Aula A

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Cronaca dell’evento

di Michele Camaioni

Seminario sul libro di Anna Maria Valente Bacci, Una leggenda tedesca di Santa Rosa (secolo XV). Codex sangallensis 589, Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, Studia I, 2013.

Un nutrito e variegato pubblico composto da religiose, religiosi, studenti ed esperti del settore ha preso parte giovedì 17 gennaio 2013, presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, alla presentazione del libro Una leggenda tedesca di Santa Rosa (Secolo XV). Codex sangallensis 589 (Viterbo 2012), primo volume della collana Studia del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo – Onlus (www.centrostudisantarosa.org). L’incontro, organizzato in collaborazione con l’Istituto Francescano di Spiritualità e con il Centro Culturale Aracoeli, è stato moderato dal preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, padre Pietro Messa, e ha visto l’intervento dei professori Loredana Lazzeri e Marco Bartoli della Lumsa di Roma. Alla presenza della curatrice, la docente di Filologia germanica Anna Maria Valente Bacci, i due relatori hanno tracciato un quadro di sintesi della letteratura agiografica tardomedievale, evidenziando le peculiarità di un’iniziativa editoriale, quella promossa dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, che permette di illustrare un capitolo assai particolare e significativo della vicenda agiografica della santa viterbese.

L’opera, infatti, propone l’edizione critica con testo a fronte in latino e in italiano di una rara versione della legenda di santa Rosa, che fu composta in dialetto alemanno, alla fine del Quattrocento, da e per le terziarie regolari francescane della comunità sangallese di St. Leonhard. Si tratta, allo stato attuale delle ricerche, di un testo unico nel panorama della letteratura agiografica tardomedievale di area germanica, nel quale Rosa da Viterbo viene fatta oggetto di una venerazione inconsueta per le regioni di lingua tedesca, ricevendo dalla terziarie di San Gallo il titolo di «patrona e protettrice di tutto il nostro ordine» e il riconoscimento di una posizione di primazia analoga a quella che, nel ramo maschile del Terz’ordine, era attribuita a Elzear di Sabran.

Come segnalato nella premessa del volume, «l’episodio di St. Leonhard», unico caso ad oggi noto di una devozione per Rosa da Viterbo «in lingua volgare» al di fuori dalla penisola italiana, testimonia dunque «l’assunzione di Rosa nel pantheon del nuovo francescanesimo femminile osservante». Di qui l’interesse per il codex sangallensis 589 e per il Compendio della vita della santa vergine santa Rosa, che in esso viene tramandato insieme alle Deutsche legenden di altri sei santi particolarmente venerati nell’area svizzero-tedesca durante il XV secolo (si tratta di Chiara di Assisi, Bernardino da Siena, il citato Elzear di Sabran, Ivo di Britannia, Pantaleone e il re Ludovico/Luigi di Francia).

La prof.ssa Lazzeri, docente di filologia germanica presso la Lumsa di Roma, ha rimarcato l’importanza dell’opera di pubblicazione delle fonti sulla santa viterbese avviata dal Centro Studi Santa Rosa, segnalando come l’edizione critica della leggenda del codex sangallensis 589 colmi una significativa lacuna editoriale dopo la minimal edition di Patricia A. Giangrosso, la quale oltre venticinque anni fa aveva pubblicato quattro delle sette vite di santi contenute nel codice di San Gallo (cfr. Four Franciscan saints’ lives: German texts from Codex Sangallensis 589, Stuttgart 1987; le vite pubblicate sono quelle di Bernardino da Siena, Rosa da Viterbo, Elzear di Sabran e Ivo di Britannia).

Lodevole sotto il profilo della descrizione codicologica e paleografica, l’edizione della Giangrosso non si presenta invece particolarmente accurata sotto il profilo filologico. Ciò ha motivato l’esigenza, avvertita dalla curatrice, di una vera e propria edizione critica di questo particolarissimo racconto agiografico della vita di Rosa da Viterbo, collocabile secondo la Valente Bacci a metà strada «tra il genere della Heiligenpredigt, ‘predica sui santi’, e l’altro simile della legenda nova», il genere narrativo più diffuso nel Medioevo che, com’è noto, trovò nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze la sua espressione più nota. Come ha ricordato la Lazzeri, le vite dei santi potevano essere destinate all’uso liturgico, oppure alle lettura in pubblico e in privato, tanto nelle chiese quanto nei monasteri: nel primo caso il testo assumeva connotati di brevità e semplicità, favorevoli a una compresione la più larga possibile, mentre i racconti agiografici composti per finalità letterarie oltre che religiose presentavano, ordinariamente, una struttura più articolata e complessa.

Il Compendio della vita di Rosa da Viterbo tramandato dal codex sangallensis 589 si pone in una posizione intermedia tra questi due generi, presentando inoltre caratteri di originalità anche in relazione alle sue fonti. La prima parte dell’opera dipende dalla cosiddetta Vita secunda, una redazione latina anonima risalente ai primi decenni del XV secolo. In essa si narrano la nascita di Rosa, la manifestazione della sua santità sin dalla fanciullezza, la grave malattia, le visioni di anime, l’apparizione della Madonna e di Gesù Cristo crocifisso, la predicazione contro gli eretici, la condanna all’esilio, la guarigione miracolosa di una cieca. La seconda parte del testo tedesco, che narra alcuni episodi post mortem attribuiti all’intercessione di Rosa, appare invece seguire una strada originale: accanto alla Vita secunda, infatti, si nota la presenza di altre fonti non identificate, che non dipendono né dalla citata Vita secunda, né dalla Vita prima, il frammento più antico sulla vita della santa. Secondo la Lazzeri, l’individuazione di queste “fonti segrete” della vita tedesca di Rosa da Viterbo potrebbe costituire una proficua pista di ricerca in ambito filologico: l’edizione del testo del codex sangallensis 589 da parte della Valente Bacci costituisce, in questa direzione, un incoraggiante viatico.

Si è concentrato invece sugli aspetti più prettamente storico-letterari dell’opera il professor Marco Bartoli, docente di storia medievale presso la Lumsa di Roma ed esperto di storia del francescanesimo, con particolare riferimento alle vicenda di Chiara di Assisi e al ramo femminile dell’ordine. Nella sua relazione, Bartoli ha sottolineato come quella di Rosa da Viterbo sia «una storia al femminile», non solo in quanto furono delle donne a diffonderne il culto con la parola e con gli scritti, ma anche per il contenuto stesso delle leggende agiografiche composte intorno alla santa viterbese, compresa quella del codex sangallensis edita dalla Valente Bacci. Bartoli ha notato inoltre come, secondo il sistema dei topoi tipico del genere agiografico, anche la vita tedesca di Rosa presenti le caratteristiche di un testo performativo, per dirla con Timothy Johnson: si tratta, infatti, di un racconto adatto alla memorizzazione e alla lettura pubblica nelle occasioni liturgiche, pensato per diventare «forma», modello di vita per i fedeli – religiosi ma non solo – cui era indirizzato. Sono queste le ragioni che spiegano le affinità della leggenda tedesca di Rosa da Viterbo con altre vite di santi il cui culto era particolarmente diffuso nel medioevo, da Nicola ad Agnese, da Agata a Chiara di Assisi.

La vicenda di Rosa da Viterbo narrata nel codex sangallensis presenta tuttavia anche delle peculiarità proprie. Tale è, per esempio, quella che Bartoli ha definito la «mediazione sacerdotale e linguistica» che lega l’episodio della conversione della giovane Rosa grazie alle prediche di alcuni frati minori della sua città, alla scelta del dono totale di se stessa a Cristo e ai poveri adottata in seguito a una malattia e alle visioni di Cristo e della vergine Maria (da segnalare come il racconto di quest’ultima visione risulti molto vicino a quello di un analogo episodio riferito da una testimone nel corso del processo di canonizzazione di Chiara d’Assisi). A detta dell’anonima autrice della leggenda tedesca, proprio l’esperienza della malattia avrebbe conferito alla pia donna viterbese il dono della profezia, secondo una dinamica coerente con la concezione medievale che vedeva nei morenti una sorta di “ponte” tra il mondo terreno e l’aldilà.

Al tema della profezia e della visione della Vergine si lega, inoltre, quello assai delicato della «parola pubblica»: narra infatti la leggenda agiografica che su suggerimento esplicito della Vergine, Rosa da Viterbo si dedicò a un’intesa predicazione di carattere penitenziale, volta a ricondurre alla fede i peccatori e a smascherare le ipocrisie degli eretici ariani. Si tratta, caso non unico ma comunque significativo per l’epoca, della predicazione di una donna laica, semplice, di cui veniva tuttavia tollerato il ruolo pubblico in virtù del riconoscimento di una speciale rivelazione e ispirazione divina. Particolarmente aspro è lo scontro – e si avvertono in questa parte del racconto gli echi della contemporanea predicazione antiereticale svolta in area tedesca dagli osservanti, Giovanni da Capestrano in primis – che Rosa ingaggia con i catari. Animata da un desiderio di martirio che la avvicina alle grandi figure femminili della tradizione agiografica, da Umiliana de’ Cerchi a Chiara di Assisi, la pia donna di Viterbo si rende inoltre protagonista di una decisa azione anti-ghibellina, guadagnandosi per questo motivo l’espulsione dalla propria città. L’episodio dell’allontanamento di Rosa da Viterbo ad opera del podestà e degli eretici non trova riscontro nella documentazione storica, ma il suo inserimento nella vita tedesca del codex sangallensis induce a ritenere, quantomeno, che esso venisse ritenuto verosimile dall’autrice della leggenda e dal suo pubblico di riferimento, vale a dire le terziare di San Leonhard, che proprio in quegli anni, a cavallo tra XV e XVI secolo e poi nei decenni seguenti, si sarebbero trovate a difendere il proprio monastero dagli attacchi dei protestanti. A questa resistenza, che durò fino agli anni ’70 del Cinquecento, la figura proposta dal codex sangallensis di una Rosa da Viterbo paladina della fede cattolica contro gli eretici e le ingerenze ghibelline, potrebbe aver offerto una fonte di ispirazione ideale. Si tratterebbe, secondo Bartoli che riprende qui una suggestione di Giovanni Miccoli, di uno di quei casi in cui l’agiografia, esercitando il proprio influsso sulla mentalità di una determinata comunità o gruppo sociale, avrebbe contribuito a fare la storia.

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Mostra “Dalla Reliquia alle reliquie. La santità di Rosa visibile e tangibile”

1-9 settembre 2012

Chiostro del Monastero di S. Rosa Viterbo

GIORNATA DI STUDIO:

AD SONUM CAMPANAE TUBARUMQUE CLANGOREM.

Le deliberazioni del comune di Viterbo del 1512 sulla processione civica per la festa di santa Rosa.

Viterbo 12 GIUGNO 2012

→ Visualizza la locandina dell’evento

 

Conferenza stampa

Presentazione Eleonora Rava Presentazione Maurizio Pinna