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Inaugurazione sala multimediale

Venerdì 26 agosto alle ore 17 si inaugurerà la sala multimediale presso il Salone del Quattrocento del Monastero S. Rosa allestita dal dal Centro studi S. Rosa da Viterbo e con il contributo della Fondazione CARIVIT.

La sala con una capienza di circa 60 posti a sedere è munita di impianto di audio diffusione, di videoproiettore digitale e schermo avvolgibile. È attrezzata per conferenze e presentazioni in modalità mista, esigenza sempre più attuale dopo l’esperienza vissuta sotto la pandemia.

All’inaugurazione saranno presenti Luigi Pasqualetti, presidente della Fondazione, e Attilio Bartoli Langeli, presidente del Centro Studi e sarà un’occasione per ricordare le iniziative culturali di carattere scientifico e divulgativo promosse dal Centro Studi grazie al finanziamento della CARIVIT in questi oltre dieci anni di collaborazione sinergica.

L’inaugurazione si unisce all’apertura degli spazi espositivi dell’evento “La forza della fede. Mostra storico-documentaria sulla festa di Santa Rosa”, infatti l’ultimo allestimento dedicato a bandi ed editti è ospitato proprio nel salone del Quattrocento.

La forza della fede. Mostra 2022

“Evviva santa Rosa!” Il grido lanciato all’unisono dai facchini di santa Rosa, quest’anno riecheggerà nuovamente per le vie del centro di Viterbo!

La forza e il sacrificio di questi cento uomini che portano in spalla la macchina di santa Rosa diventa ancora gesto, sentimento, fede…

È questo che vuole raccontare e documentare la mostra organizzata dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus con il contributo del Comune di Viterbo e allestita presso il Monastero di S. Rosa che verrà inaugurata venerdì 26 agosto alle ore 17:00.

La mostra antologica dal titolo “La forza della fede. Mostra storico-documentaria sulla festa di Santa Rosa” è il frutto di una collaborazione sinergica tra vari enti e istituzioni locali e non solo: l’Università degli Studi della Tuscia, il Monastero delle Clarisse di Santa Rosa di Viterbo; la Federazione “S. Chiara” delle Monache Clarisse Urbaniste d’Italia (Archivio e Biblioteca); il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa; Donne per la Rete sezione di Viterbo, l’Associazione Italiana Persone Down sezione di Viterbo; con il patrocinio della Diocesi di Viterbo, della Fondazione CARIVIT e dell’Institute of Mediaeval Studies – University of St Andrews. Essa presenta documenti, oggetti e immagini relativi alla festa della patrona cittadina, organizzati in un percorso dinamico articolato in quattro sezioni:

nella Sala Capitolare sono esposti il quattrocentesco processo di canonizzazione di Rosa da Viterbo e gli originali delle due pergamene del 1512 con le quali fu istituita la processione civica in onore di santa Rosa;

nel Refettorio antico sono esposti i modellini e i bozzetti della Macchina di Santa Rosa, nonché altri oggetti legati al Sodalizio dei Facchini;

nella Sala delle Colonne è esposta la documentazione relativa al Corteo Storico e agli aspetti della liturgia e alla vita quotidiana delle monache di Santa Rosa nei giorni della festa;

nella Sala del Quattrocento, infine, sono esposti riproduzioni di bandi e manifesti della festa e sono proiettati a ciclo continuo video relativi alla Santa, alla festa, alla processione, al trasporto e al culto di Rosa in Italia e nel mondo.

La mostra osserverà il seguente orario: dal martedì alla domenica, 9:30-12:30 e 15:30-19:30. Nei giorni della festa (3-4 settembre) e per tutto il periodo di sosta della Macchina davanti al Santuario, l’orario sarà prolungato secondo un calendario che verrà reso disponibile prima dell’inizio della manifestazione.

La mostra sarà visitabile fino al 31 ottobre 2022. L’ingresso è gratuito.

Presentazione del volume “Il colera nel chiostro”

Venerdì 17 giugno alle ore 17 si terrà presso il Monastero di S. Rosa a Viterbo la presentazione del libro di Cristina Marucci, “Il colera nel chiostro”.
Ne parleranno con l’autrice Antonio Maria Lanzetti, presidente dell’Ordine dei Medici, e Luciano Osbat, responsabile del Centro diocesano di documentazione (Ce.Di.Do.).

Il volume nasce dalla ricerca sostenuta dalla borsa di studio bandita nel 2019 dal CSSRV con il contributo dell’Università della Tuscia, del Comune di Viterbo, della Fondazione CARIVIT e del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa da Viterbo e con il patrocinio gratuito della Provincia di Viterbo e della Diocesi di Viterbo. 

Questo volume, stampato grazie al contributo dell’Archivio di Stato di Viterbo, vuole essere un tassello per ricostruire eventi accaduti quasi due secoli fa, ma che si manifestano in tutta la loro stringente attualità con l’ultima pandemia dovuta alla COVID-19 che tutti abbiamo vissuto. Questo libro è anche un segno concreto di valorizzazione del patrimonio archivistico del Monastero di S. Rosa e della città di Viterbo, visto che l’autrice ha condotto la sua ricerca tra le carte non solo dell’Archivio della Federazione delle Clarisse Urbaniste, ma anche del Ce.Di.Do e dell’Archivio di Stato di Viterbo il cui direttore, il dott. Angelo Allegrini, ha scritto l’introduzione del volume. È stata anche l’occasione per offrire ai lettori la ristampa anastatica del libro del medico Giovanni Selli dal titolo Relazione del cholera asiatico sviluppato nel v. monastero di S. Rosa in Viterbo, stampato a Viterbo presso la Tipografia Tosoni nel 1837.

Apertura straordinaria della cella di Armida Barelli

Il video

In occasione dell’edizione 2022 delle Giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico, dal 14 al 22 maggio sarà possibile visitare su prenotazione la cella della beata Armida Barelli presso il Monastero di S. Rosa da Viterbo, preservata dalle monache nella sua forma originaria.

Per un’introduzione alla figura della beata Armida Barelli, al suo legame con santa Rosa e alla sua stanza nel Monastero di S. Rosa ecco il video realizzato da Luca e Renzo Antonelli (regia), Angelo Sapio ed Elisabetta Storcè (testi). 

Per prenotarsi alla visita guidata, occorre obbligatoriamente iscriversi al seguente link: https://forms.gle/ifWU7Gx7er5rEaVN8.
Le visite saranno possibili nei seguenti orari:

lunedì: ore 11

martedì-venerdì: ore 11 e 17

sabato: ore 11, 17 e 18

domenica: ore 10, 17 e 18

Per conoscere meglio la figura di Armida Barelli vi consigliamo anche di consultare gli altri approfondimenti curati dal nostro Centro Studi:

Ripensare la reclusione volontaria

Presentazione volumi

Il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus in collaborazione con la Fondazione per le Scienze Religiose, l’Institute of Mediaeval Studies of the University of St Andrews, il Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università degli studi di Udine, la casa editrice il Mulino, la rivista “Quaderni di Storia religiosa medievale”  organizza la presentazione dei volumi realizzati con il finanziamento “European Union’s Horizon 2020 Research and Innovation programme” (Marie Sklodowska – Curie Grant Agreement N ° 751526):

Ripensare la reclusione volontaria nell’Europa medievale

QSRM 24/1-2 (2021)

Thomas Frank e Daniela Rando

ne parleranno

con le curatrici Frances Andrews ed Eleonora Rava

il 28 maggio 2022 alle ore 17.00

nel salone del Quattrocento del monastero di S. Rosa a Viterbo (via S. Rosa 33)

Per richiedere le credenziali al collegamento ZOOM clicca qui. Sarà disponibile anche la diretta YOUTUBE sul canale del CSSRV.

Arte e scrittura

Un corso autunnale in memoria di Chiara Frugoni

Quasi un mese fa veniva a mancare Chiara Frugoni, che poco tempo prima aveva risposto con il suo consueto entusiasmo e passione, rendendosi disponibile a partecipare a un’iniziativa formativa promossa dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo: il corso “Arte e scrittura”.

Per questo abbiamo deciso di dedicare questo seminario a Chiara e di trasformare la lezione ‘della’ Frugoni in una lezione ‘sulla’ Frugoni. Di seguito trovate la presentazione del corso, che orientativamente si svolgerà nel prossimo autunno in doppia modalità: online e in presenza presso l’Istituto Norvegese a Roma.  

Maggiori dettagli sulle date e sulle modalità di iscrizione saranno pubblicati alla fine dell’estate.

Armida Barelli

In occasione della beatificazione di Armida Barelli, 30 aprile 2022, vi proponiamo un contributo di Marcella Serafini (Istituto teologico d’Assisi), che ha tenuto anche un intervento presso il santuario di S. Rosa a Viterbo il 3 marzo 2022. Qui il video della conferenza.

Francescana, laica, appassionata

C’è un legame profondo e significativo che congiunge Armida Barelli (1882-1952) alla città di Viterbo e alla sua patrona santa Rosa, un legame che si fonda nella comune ispirazione francescana e si traduce per entrambe in apostolato laico, passione civile. L’amicizia con Dio, intensamente vissuta, porta entrambe a vivere la propria umanità nel dono totale, osando con l’audacia dell’amore. C’è anche un altro tassello che congiunge in modo indissolubile Armida alla città di Viterbo: la Gioventù Femminile di Azione Cattolica (GF); è proprio nella chiesa di santa Rosa, infatti, che nel 1868 matura nel giovane viterbese Mario Fani, allora ventitreenne, l’intuizione dell’Azione Cattolica.

Grazie a santa Rosa, a cui era particolarmente affezionata a motivo della comune vocazione francescana, Armida frequenta spesso Viterbo: tiene incontri per la GF, sosta presso il Monastero – chiedendo l’intercessione della giovane santa – e si intrattiene con le monache.

La beatificazione di Armida Barelli, ormai prossima (il 30 aprile), è un dono che la città di Viterbo è chiamata ad accogliere come una responsabilità e un nuovo appello. Ma chi era Armida Barelli? Quale l’attualità della sua testimonianza?

Nata nel 1882 da una famiglia dell’alta borghesia milanese che le ha trasmesso senso del dovere e alti valori civili e morali, Armida mostra sin da bambina un carattere vivace e intraprendente, deciso e piuttosto insofferente verso le regole. È dotata di grandi capacità organizzative e di profonda sensibilità, come dimostra durante gli anni di permanenza presso il Collegio S. Croce di Menzingen, dove era stata mandata dalla famiglia per completare gli studi. Agli anni di collegio risalgono il primo incontro con la spiritualità francescana e con la devozione al S. Cuore.

Conclude gli studi nel 1900, con pieni voti, un’ottima formazione e la conoscenza di tre lingue; il suo progetto di vita è ben chiaro: “O sarò suor Elisabetta missionaria in Cina, oppure madre di dodici figli; ma zitella mai e poi mai!”.

Tale simpatica dichiarazione esprime con chiarezza il carattere della giovane, aperta a grandi ideali e poco incline ai compromessi; lo manifesta nei modi permessi dalla mentalità del tempo, che non prevedeva altra possibilità di vocazione oltre a quella religiosa e matrimoniale. Eppure Armida sarebbe stata pioniera di una strada nuova, inedita, di consacrazione a Dio per la missione, non attraverso la ‘fuga mundi’, ma cercando di colmare la distanza tra ambiti apparentemente opposti e inconciliabili: fede e mondo, religione e scienza, fede e cultura, religione e impegno politico-sociale, portando il mondo a Dio nella preghiera e Dio al mondo attraverso l’apostolato.

L’accoglienza di tale chiamata non è facile per Armida, che deve mediare tra i pregiudizi del tempo e le sue inclinazioni, talvolta incomprensibili persino a se stessa: il rifiuto sempre più consapevole delle proposte di matrimonio, l’attrazione irresistibile verso Dio, una predisposizione innata ad aiutare gli altri. Il suo cammino vocazionale – piuttosto lungo e tormentato – passa attraverso incertezze, crisi e combattimenti interiori, ma trova il sostegno unanime dei sacerdoti che hanno la grazia di accompagnarla.

L’incontro con p. Agostino Gemelli, avvenuto l’11 febbraio 1920, segna una svolta nella vita di Armida. Ella apprezza la concretezza e l’umanità di p. Gemelli; quest’ultimo, da parte sua, è colpito dal ‘candore’ e dalla determinazione della giovane, dal suo desiderio di apostolato, ma anche dalle notevoli capacità umane, organizzative e pragmatiche. Decide così di coinvolgerla nelle sue iniziative, affidandole alcune traduzioni per la Rivista di Filosofia Neoscolastica. Dopo l’incontro con p. Gemelli, tutte le esitazioni vocazionali di Armida scompaiono: entra nel Terz’Ordine Francescano e si consacra a Dio per l’apostolato nel mondo. La loro collaborazione diventa stabile e durerà per 42 anni, fino alla morte di Armida. Il primo frutto di tale azione comune è la consacrazione di soldati al S. Cuore, a cui fa seguito una intensa attività di formazione dei laici, attraverso l’Opera della Regalità, l’Opera Impiegate e una serie di opuscoli sulla liturgia. Una molteplicità di iniziative che scaturiscono da un ampio progetto di formazione cristiana dell’Italia, a tutti i livelli, dalla base (operai, laici, popolo) fino ai vertici intellettuali e politici. Il culmine di tale progetto è l’università Cattolica, inaugurata il 7 dicembre 1921.

Il ruolo di Armida Barelli nella costituzione dell’Ateneo va ben oltre la raccolta di fondi di cui ella è promotrice come cassiera, ma è strettamente legata alla sua straordinaria tenacia e grande fede, manifestata già nel contesto del Comitato fondatore. Ella ha dimostrato di saper sperare  contro ogni speranza e di credere fortemente nella possibilità di realizzazione di quest’opera, sebbene in assoluta povertà di mezzi, solo perché promessa e dedicata al S. Cuore. È merito esclusivo della fede di Armida Barelli se il nome e titolo dell’Ateneo – dedicato al S. Cuore – si sono concretizzati, secondo per una motivazione teologica ben precisa: “il S. Cuore è la sede di ogni sapienza e scienza”. Non è ingenuità, anche se a prima vista potrebbe sembrare, ma fede profonda, biblicamente e teologicamente fondata.

Il progetto culturale promosso in collaborazione con p. Gemelli, si coniuga perfettamente con l’altra impegnativa attività svolta da Armida Barelli nel fondare la Gioventù Femminile prima nella Diocesi di Milano, su richiesta del Card. Ferrari, e successivamente, su esplicita richiesta del Pontefice, di estenderla su tutto il territorio italiano. Armida, che si sente inadeguata per svariati motivi, avanza tutte le possibili obiezioni, ma poi, “solo per amore del Sacro Cuore” e per obbedienza alla Chiesa, accetta. Intraprende così un’opera che avrebbe favorito la formazione umana e cristiana, su tutto il territorio nazionale, di ragazze, e in seguito anche bambine, che altrimenti sarebbero state irraggiungibili dall’azione formativa dello Stato. Il modello antropologico e femminile trasmesso dalla GF costituisce un’alternativa efficace e significativa a quanto propagandato dal Fascismo, tanto da suscitare la preoccupazione del Regime stesso.  

Università, Gioventù Femminile e formazione dei laici, sono opere che Armida Barelli ha potuto realizzare perché radicata in Dio, centro unificatore del suo essere e operare. Questa sua attitudine si concretizza nel 1919, nella fondazione, insieme a p. Gemelli, di una comunità di consacrate secolari – un primo gruppo di dodici sorelle – che avrebbe preso in seguito il nome di Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo. Il nucleo di tale vocazione è sintetizzato da p. Gemelli con i termini consacrazione (totale appartenenza a Dio), secolare (operando nel mondo), secondo la spiritualità francescana.

L’indole francescana di Armida Barelli è una caratteristica ‘naturale’ di Armida Barelli, come testimoniano p. Gemelli e Maria Sticco. Quest’ultima, docente presso l’Università Cattolica e tra le prime consacrate dell’Istituto secolare da loro fondato, scrive pagine di estrema chiarezza: «In virtù della sua semplicità e fede mirava dritto al fine per la via più breve, non aveva complessi, non si ripiegava su se stessa, semplice e decisa, e perciò veramente libera. Libera da perplessità interiori, libera nelle circostanze, nulla la intimidiva. Libera dal mondo, non curava come frenanti i giudizi altrui. Libera dal dolore, lo considerava nell’amore di Dio a andava avanti. La spiritualità francescana, che corrispondeva alle sue tendenze naturali, lei la sovrannaturalizzò promuovendo la sua semplicità e fede in volontà dinamica e azione costante, che aveva centro vitale nella sua devozione al Sacro Cuore e alla Regalità di Cristo»[1].

Il nucleo centrale e motore della vita di Armida era l’amore con Dio e la comunione con lui, che ella raggiungeva, pur restando immersa nell’azione, attraverso una preghiera trasformante, che sotto i tratti della devozione nascondeva una intensa vita di comunione soprannaturale. Maria Sticco attesta che ella «viveva nella comunione dei santi. Come viveva fra gli uomini, così viveva fra i santi e li interpellava, parlava con loro, come con uomini in cammino»[2].

La preghiera vocale era per lei “avviamento alla contemplazione”: riusciva a vivere la contemplazione «nel cuore dell’azione, contemplazione senza visioni, senza estasi, contemplazione del suo Signore, del suo Cuore, del suo amore incomprensibile e immenso»[3]. La sua vita interiore “era un continuo colloquio con Dio”, semplice e confidenziale, lo sentiva presente in tutti i momenti e attività della giornata. Il lavoro era servizio di Dio e incontro con i fratelli; dalla consapevolezza di operare per i fratelli e quindi di amare i fratelli, obbedendo così al comando evangelico, nasceva la sua calma, l’ascolto attento, tranquillo, il «dominio sereno di sé»[4]. Questa unione continua con gli uomini e con Dio nel lavoro non escludeva il tempo dedicato unicamente alla preghiera; non identificava infatti preghiera e azione né sostituiva la preghiera con il lavoro. Non diceva “lavoro dunque prego”, ma  «nel mezzo del lavoro era sempre unita a Dio, nel cuore dell’azione pregava, avendo sempre vivo e presente nella fede e nell’amore la persona di Cristo»[5].

L’esperienza di Armida Barelli testimonia la bellezza di una vita spesa per Dio, nella limpida consapevolezza che chi si dona e affida a Lui non perde nulla ma tutto riceve. La sua missione incarna in modo sublime alcune predisposizioni della sua personalità, perfettamente armonizzate grazie alla spiritualità francescana, conosciuta grazie a p. Gemelli:

  • L’attitudine alla sintesi tra Dio e mondo, religione e cultura, raccoglimento e impegno socio-politico, preghiera e attività, contemplazione e azione; è un’attitudine a superare separatismi e divisioni per costruire ponti e custodire le relazioni.
  • L’importanza decisiva della formazione: Armida Barelli e p. Gemelli avevano capito il valore imprescindibile della formazione a tutti i livelli (culturale, civile e religioso), in tutti gli stati e condizioni di vita, per favorire dialogo e dinamismo. L’impegno civile e politico è finalizzato a trasformare in vita concreta la Regalità e il primato del S. Cuore.
  • La fiducia nel mondo giovanile, in particolare le ragazze, di cui ella si prendeva cura, attraverso l’ascolto attento e libero da pregiudizi, che consentiva di far emergere da loro doni, talenti, predisposizioni e capacità, dando loro fiducia anche nei casi di maggiore difficoltà.
  • L’intuizione della peculiarità del genio femminile, l’impegno decisivo nel percorso di promozione della donna attraverso l’attività formativa, associativa, di confronto, dialogo e impegno che – soprattutto in quegli anni – risultava profetica.
  • La necessità di una filosofia cristiana – che traduca in idee, mentalità e stile l’insegnamento evangelico – di un pensiero ‘sano’ a sostegno dell’azione, di una prospettiva antropologica che non sia riduttiva né trascuri alcunché di ciò che è umano.
  • Il valore decisivo della fede, quale tessuto connettivo della vita e della società, e della preghiera, antidoto contro la dispersione e la frammentarietà. La profonda vita interiore coltivata da Armida Barelli, la comunione costante con Dio alimentata nella preghiera, nei sacramenti e nell’adorazione eucaristica, sono il segreto della sua vita: della molteplicità di opere ma anche della pacatezza e forza d’animo, della calma e dell’equilibrio che la caratterizzano (raggiunti con un grande ‘lavoro’ interiore), della capacità di discernimento e di ascolto dell’altro, individuando qualità e talenti.
  • La ricchezza e fecondità, spirituale e umana, della spiritualità francescana, che ella incarna come un abito naturale, ma di cui p. Gemelli – che ne ha teorizzato e sintetizzato in modo eccellente i tratti nel volume Il Francescanesimo – l’ha resa cosciente.

Armida Barelli costituisce un esempio emblematico di santità laicale fuori dal chiostro e dagli spazi riservati. È testimone della santità radicale che nel Battesimo apre a tutti la possibilità della sequela di Cristo per farsi accanto a ogni persona nelle pieghe della storia. La dimensione religiosa unifica e indirizza tutte le sue dimensioni della sua vita e la qualifica come una tra le protagoniste più eminenti del rinnovamento spirituale che caratterizza la storia religiosa d’Italia nella prima metà del Novecento.

L’originalità di Armida Barelli consiste nella capacità di superare il contrasto tra la religiosità, vissuta come una serie di rinunce e privazioni, appesantita da un’ascesi ‘inumana’, e il profondo desiderio di Assoluto che le arde nel cuore. A motivo di questo suo profondo desiderio di Assoluto ha accolto con gioia la proposta di p. Gemelli di abbracciare la santità francescana, “la più alta e la più difficile, perché non uccide l’uomo, ma lo lascia vivere e lo fa santo nella sua qualità di uomo”.

Una santità appassionata e femminile che trova il suo fulcro nel Sacro Cuore: non si tratta di devozionismo ingenuo, ma di consapevolezza, teologicamente fondata nel dogma dell’Incarnazione, dell’assolutezza dell’amore divino, che è entrato nella storia, quotidianamente si fa storia e va reso presente nella cultura (nelle idee, nel modo di pensare e progettare), nella società e nella politica, per essere collaboratori e promuovere l’attuazione del Regno. Un modello di perfezione che affascina e attrae, perché non rifiuta nulla di ciò che è umano, ma francescanamente tutto rinnova e fa risplendere nella luce dell’amore divino. È questa santità quotidiana e laica capace di coniugare preghiera e azione, spiritualità e impegno, che Armida Barelli invita a riscoprire e valorizzare: una santità ‘in uscita’, che abbandoni la quiete delle sacrestie e scenda nelle piazze della politica, della cultura, della società, per evangelizzarli, coniugando e facendo dialogare Vangelo e mondo, preghiera e competenze professionali, superando le dicotomie. Una testimonianza che invita alla radicalità, alla riflessione e al serio discernimento, nella convinzione che il Vangelo promuove e perfeziona l’uomo, che ciò che è cristiano è anche pienamente umano, perché la grazia non distrugge ma perfeziona la natura.

Una spiritualità inclusiva e accogliente, luminosa, di ampio respiro, che porta il Vangelo nei luoghi dell’umano, fa risplendere il Regno di Dio nel Regno dell’uomo, che nell’amore abbraccia e trasfigura anche la sofferenza e il dolore. È forse questa la sintesi più radicale che Armida è riuscita a realizzare al culmine della sua vita, che ha raggiunto la piena verità nel dono totale delle propri fragilità, limiti e paure, superando, grazie alla fiducia nel Sacro Cuore, anche la paura più radicale e spaventosa, quella della morte, come testimonia p. Gemelli, che l’ha accompagnata anche in questo ultimo tratto di cammino:

La morte perde il suo orribile volto per creature così preparate dal Divino artefice; Armida Barelli quando con la mano mi salutò per l’ultima volta, poche ore prima di morire, sorrise. Forse il Signore le aveva già fatto capire che l’attendeva di lì a poco la gioia di vederlo faccia a faccia. Ed era questo il compenso di una vita spesa esclusivamente per lui[6].

L’esempio di Armida invita ancora oggi ogni battezzato a interrogarsi sulla propria chiamata a incarnare il Vangelo nelle pieghe della storia. Una storia piena di contraddizioni e incoerenze, ma già salvata, perché profondamente amata; una storia che, tuttavia, bisognosa di attualizzare e rendere operante questa salvezza, chiede ai cristiani di esserne artefici, diventando ‘artigiani’ di speranza, testimoni credibili del Regno[7].

 

[1] M. Sticco, I nostri Fondatori: due grandi francescani, in Sulle orme di Francesco, a cura del Consiglio centrale dell’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo, Roma 1981, 46.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Cf. ivi, p. 47.

[5] Cf. ibidem.

[6] Ivi, p. xli.

[7] Per approfondire: A. Picicco, Armida Barelli, Padova 2007; M. R. Del Genio, Armida Barelli. Un’esperienza di mistica apostolica laicale, Città del Vaticano 2002; Ead. Donne nuove. Armida Barelli tra le donne del suo tempo, Torino 2021; B. Pandolfi, Vivi una vita piena. Armida Barelli scrive ai giovani, Roma 2021; Ead., Armida Barelli. Una donna oltre i secoli. Con DVD, Roma 2014; M. Serafini (a c. di), Agostino Gemelli e Armida Barelli. Una sintesi francescana per l’Italia, sez. monografica della rivista Convivium Assisiense (XXIII/1 [2021]), Assisi 2021.

Un’altra curiosità su Armida e santa Rosa

Padre Pietro Messa ci ha segnalato questa citazione tratta da E. Preziosi, La zingara del buon Dio. Armida Barelli, storia di una donna che ha cambiato un’epoca, prefazione di papa Francesco, Cinisello Balsamo 2022, p. 176, nota 92:  
“Per il  santuario di Loreto Armida avrà un’attenzione speciale, tanto che vi è una cappella dedicata, la quinta laterale della navata destra, che nel 1933 fu decorata dal pittore Tino Ridolfi (1886-1956) con le giovani sante patrone della Gioventù Femminile: sant’Agnese, santa Rosa da Viterbo e santa Giovanna d’Arco, la beata Imelda Lambertini, Maria Bambina e santa Teresa del Bambin Gesù, nel 1953 sostituita, dopo la canonizzazione, da santa Maria Goretti”.
Un video della cappella dell’Immacolata nella Basilica lauretana – in cui s. Rosa da Viterbo è denominata erroneamente “da Lima” – in questo video.

In ricordo di Chiara Frugoni

Il 10 aprile 2022 è venuta a mancare Chiara Frugoni, una studiosa appassionata ma soprattutto un’amica generosa e sempre disponibile. Anche con il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo diverse sono state le collaborazioni. Per questo vogliamo ricondividere la presentazione online di uno dei suoi ultimi lavori, tenutasi il 21 maggio 2021: San Francesco in figura. La Legenda maior di Bonaventura nel manoscritto Antonianum 1. La vogliamo ricordare così con il suo consueto sorriso.

Per sentire Chiara Frugoni, si vada ad esempio al min. 0, 59′ 21” oppure al min. 1, 11′ 45”. 

Riprende il progetto Rose che sprigionano

Dopo il corso di formazione per volontari operanti negli istituti di pena, tenutosi in doppia modalità (in presenza e online) nei mesi di dicembre e gennaio, il 1° aprile riprende per la seconda volta con le persone detenute nella casa circondariale di Viterbo il progetto Rose che sprigionano, finanziato lo scorso anno dalla Regione Lazio (DGR 829/2020).

Il progetto intende promuovere attività tese a insegnare alle persone detenute lavorazioni artigianali tessili che possano garantire un accesso al mondo del lavoro, partendo dalle conoscenze e dalle pratiche che si svolgevano all’interno delle mura della clausura monastica. Proprio qui, infatti, si realizzavano fiori di stoffa e reliquiari con tecniche che utilizzavano materiali di tipo diverso (carta, stoffa, legno, ecc.), di cui rimangono nel monastero di Santa Rosa di Viterbo numerose attestazioni tra manufatti e materie prime che consentono di comprendere le metodologie di produzione adottate.

L’attenzione del laboratorio che si propone è focalizzata alla realizzazione di rose di stoffa. Esse potranno essere prodotte all’interno del carcere, utilizzando le tecniche antiche, per poi essere inserite nel circuito della produzione di oggetti devozionali legati al culto di santa Rosa, della finitura di abiti di sartoria e di complementi d’arredo. La rosa evoca la Santa viterbese, ma è anche simbolo di bellezza, cioè del motore che attiva quei processi che stimolano le qualità dell’essere umano che si gratifica attraverso il lavoro.

Il laboratorio ha come scopo quello di arricchire la formazione personale del detenuto attraverso percorsi esperienziali con valenza socioculturale; ma anche quello di favorire la libera espressione del detenuto, coinvolgendolo in un’attività di studio e ricerca.

Video tutorial per la realizzazione delle rose

Letture … frizzanti nel chiostro

Giornata nazionale per la promozione della lettura, 24 marzo 2022

I Convegni di studio sono capaci anche di questo. Portare alla luce una storia – o un frammento di storia – che prima non si conosceva, facendo emergere, dopo attente e non sempre agevoli ricerche, fatti del tutto inediti (o poco indagati) e persone dimenticate o almeno non molto note.

Questo è quanto è avvenuto a Viterbo lo scorso novembre, durante il Convegno Microstoria e storia della vita quotidiana dalla documentazione dei monasteri di clausura femminili (XV-XIX secc.): nello specifico, pratiche e strategie di lettura delle clarisse di S. Rosa sono state presentate svelando esempi concreti di vicende testimoniate tra i libri antichi a stampa usati dalla comunità religiosa lungo i secoli.

E non deve sorprendere se episodi anche insoliti hanno fatto capolino tra le pagine vissute, rendendo più curiose ed ‘effervescenti’ le letture del tempo, ma anche offrendo interessanti spunti per chi oggi si ritrova a sfogliare questi volumi.

È il caso di un’opera edita a Padova nel 1709, ovvero Delle lettere spirituali di san Francesco di Sales: l’edizione non sembra in Italia molto diffusa, tuttavia l’esemplare conservato a Viterbo riserva inaspettate sorprese.

In una delle pagine iniziali (per essere precisi: sulla carta di guardia anteriore) una monaca del Settecento ha voluto lasciare un segno del suo passaggio e a mano riporta, non senza qualche inesattezza grammaticale, questa annotazione:

Io Marianna

Capalti mano

propia e nissuno

se la propi, che que-

sto sì ch’è mio, mio,

nissuno me lo tocchi.

Un battibecco, che rende il tutto più gustoso, è però dietro l’angolo: poco tempo dopo Livia, una nipote di Marianna (al secolo: la zia Teresa), anche lei clarissa nel monastero di S. Rosa, utilizza la parte finale del medesimo libro (la carta di guardia posteriore) per precisare:

Io Livia Capalti

ò pregato istantemente

la zia Teresa

a non scrivere quel-

la falsità da capo

a questo libro, ma non

mi a voluto dare udien-

za, assolutamente l’à vo-

luto scrivere, sicché

abbino pazienza.

Insomma, piccole storie familiari, di monache ma soprattutto di lettrici, che hanno voluto quasi passarsi il testimone nell’uso e nella tutela – estremamente scrupolosa – di un volume a stampa, custode di contenuti spirituali da assaporare nello studio (nonché nella lettura personale) e da far propri.

Per concludere: ancora più caratteristiche appaiono le tre righe che un’altra mano ha fatto seguire alla dichiarazione di Livia: «E la sig.ra Lugrezia pare viterbese, per quanto pianta carote, capite?». Significati e allusioni sono con ogni evidenza da cercare altrove, ad esempio tra i documenti dell’archivio del monastero di S. Rosa… o forse più in là, oltre le grate della clausura.

FRANCESCO NOCCO