Mostra 31 agosto – 8 settembre presso il chiostro del monastero di Santa Rosa
a cura di Mauro Galeotti
video dell’inaugurazione della mostra “Per grazia ricevuta. Le tavolette votive di santa Rosa”, con un saluto di Attilio Bartoli Langeli e una visita guidata dei curatori Filippo Sedda ed Eleonora Rava
Per grazia ricevuta. Le tavolette votive di santa Rosa
Gli ex-voto sono veri e propri atti di fede; sono modi di pregare, venerare e ringraziare Dio, la Vergine e i Santi patroni. Essi sono lo spontaneo tributo di riconoscenza per una grazia ricevuta.
Un tempo il monastero di Santa Rosa di Viterbo possedeva molti ex-voto e di vario genere, come attestato dal processo callistiano del 1457, ma gran parte di essi sono andati irrimediabilmente perduti.
La mostra intende esporre 41 tavolette votive di santa Rosa mai prima d’ora esposte in originale. Esse sono databili tra il xvii e il xx secolo e costituiscono non solo preziose testimonianze di culto e devozione ma anche esempi di arte popolare, di notevole interesse pittorico, artistico e antiquario.
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VIDEO di spiegazione della mostra: a cura di Mauro Galeotti
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Conferenza 31 agosto ore 16:15 presso la Sala del Pellegrino
Alessandro Finzi: Immagini di santa Rosa nel mondo
Alessandro Finzi, già professore ordinario presso l’Università della Tuscia, ha numerose pubblicazioni scientifiche sul culto di santa Rosa in area ibero-americano. Recentemente ha condotto uno studio su un famoso capolavoro di Bartolomé Esteban Murillo, esposto al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, con il quale dimostra che il quadro rappresenta senza ombra di dubbio santa Rosa da Viterbo e non santa Rosalia da Palermo. Attualmente è il presidente del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.
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Conferenza 4 settembre ore 17:00 presso la Sala del Pellegrino
A. Vauchez: Santa Rosa, una santa per la città
André Vauchez, studioso di chiara fama internazionale, è uno specialista di storia della santità e della spiritualità medievale. Già direttore dell’École française di Roma; presidente dell’Académie des inscriptions et belles-lettre; membro dell’Accademia nazionale dei Lincei; dell’Accademia romana di Archeologia; dell’Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique; già direttore della rivista Revue Mabillon; è membro del Comitato di garanzia del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.
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Conferenza 5 settembre pomeriggio
organizzata dalla Fondazione Carivit presso la propria sede alle ore 18.00
André Vauchez: San Francesco d’Assisi
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Workshop 7 settembre 2013, h. 10.00
Il Centro Studi per la storia di santa Rosa, di Viterbo, della Tuscia
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Conferenza
di Eleonora Rava su “Fu a Viterbo, non è molto…” Castità violate nella Viterbo medievale”.
Nella Viterbo del XIII secolo, nell’età di Federico II e di s. Rosa, alcune donne vivono una complessa esperienza di fede rinunciando a vivere in famiglia o nei monasteri e proponendosi come modelli per nuovi ruoli femminili in una società totalmente maschilista.
inizio conferenza Mercoledì, 10 luglio ore 19:00
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Presentazione
del libro I riti festivi
atti del decimo e undicesimo incontro di “Tra Arno e Tevere”
tra i relatori la dott.ssa Eleonora Rava
20 giugno 2013 alle 16.30
presso la Fondazione Carivit,
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Convegno
Monastero Buon Gesù di Orvieto
in collaborazione con
Centro Studi Santa Rosa di Viterbo
Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani
della Pontificia Università Antonianum di Roma
Donne e culto eucaristico
L’Eucarestia nella vicenda agiografica di s. Chiara, s. Rosa
e il Miracolo di Bolsena
sabato 18 maggio 2013
Monastero Buon Gesù – Via Ghibellina, 4 – Orvieto
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Cronaca di Orvieto
di Pietro Messa
Organizzato dal Monastero Buon Gesù di Orvieto in collaborazione con il Centro Studi Santa Rosa di Viterbo e la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma, sabato 18 maggio presso il suddetto Monastero si è svolto l’incontro Donne e culto eucaristico. L’Eucarestia nella vicenda agiografica di s. Chiara e s. Rosa e il Miracolo di Bolsena.
Nei saluti inziali è stato ricordato che tale appuntamento è stato organizzato in occasione del Giubileo eucaristico che la Diocesi di Orvieto-Todi sta celebrando in occasione del 750° Anniversario del Miracolo Eucaristico di Bolsena (1263) e della bolla Transiturus con cui papa Urbano IV (1264) istituì la festa del Corpus Domini.
La prof. suor Mary Melone con la relazione L’istituzione della festività del Corpus Domini e il miracolo eucaristico di Bolsena ha richiamato che tali avvenimenti vanno contestualizzati all’interno dei cambiamenti in atto in ambito teologico in quel periodo, soprattutto in merito alla lettura simbolica. Ciò ebbe dei riflessi anche nella concezione dell’Eucaristia, da alcuni considerata solo come un simbolo senza alcuna presenza reale; un Sinodo tenutosi a Roma invece affermò che vi è una trasformazione reale nel pane e vino consacrato. Accanto a ciò va considerato il recupero in atto della meditazione e considerazione dell’umanità di Cristo, con un accresciuto desiderio di vedere Gesù. In questo contesto si comprende che il rito dell’elevazione per vedere l’Eucaristia durante la celebrazione diventi un momento importante al fine di una comunione visiva, la manducatio per visum, equiparata alla comunione sacramentale, la manducatio per gustum. Così si diffonde l’adorazione eucaristica, compaiono i tabernacoli – sempre più centrali ed evidenti – e la processione del Corpus Domini. Si può affermare che l’istituzione della festa del Corpus Domini nel 1264 da parte di Urbano IV è il coronamento di una devozione diffusa a livello popolare.
Eleonora Rava, illustrando Le recluse e il Corpus Domini, evidenzia che la devozione eucaristica si ritrova anche nelle sante recluse, di cui ci è pervenuta una vita. In esse meditazione della Passione del Signore, culto eucaristico e povertà volontaria sono aspetti legati tra loro. Tale devozione eucaristica è testimoniata dai testi agiografici, anche se bisogna notare che vi sono differenze di tipo geografico-politico più che temporale. In Italia la pietà eucaristica da alcune recluse è ritenuta basilare, ossia una questione “di vita o di morte”. Naturalmente nasce la domanda se alcune affermazioni siano da considerarsi dati storici oppure meri modelli agiografici.
Suor Clara Fusciello, clarissa del Monastero di Orvieto, ha presentato Santa Chiara d’Assisi e il culto eucaristico prendendo spunto dall’iconografia della Santa assisana che spesso la raffigura con l’ostensorio in mano. Se Cristo è centrale negli scritti di Chiara si deve ammettere con Giovanni Pozzi che il pensiero di Chiara è frutto anche della prolungata e continua meditazione degli scritti di Francesco d’Assisi. Dopo aver ricordato che gli scritti di Chiara sono tutti rivolti a donne – le lettere ad Agnese di Boemia, la Regola e il Testamento alle sorelle – Clara Fusciello ha affermato che la liturgia è performativa anche per la comunità di San Damiano.
Il prof. Marco Bartoli illustrando Santa Rosa e il culto eucaristico fin dall’inizio ha ammesso che le notizie circa l’Eucaristia nella vicenda della Santa viterbese sono scarne. Tuttavia ampliando la prospettiva a ulteriori donne quali ad esempio la beata Elena Enselmini di Padova, Margherita Colonna e altre ha mostrato come nella devozione eucaristica vi è stato un incontro fecondo tra teologia colta e culto popolare.
Concludendo il partecipato incontro è stata ribadita l’importanza formativa e culturale di momenti simili, dato che nel presente il rischio non è quello di uno scontro di civiltà – come spesso si sente ripetere – ma uno scontro di ignoranze.
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Seminario di Studio
15 marzo 2013 h. 16.00
Viterbo
Centro Diocesano di Documentazione per la storia e la cultura religiosa Viterbo
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o al sito del Ce.di.do.
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Presentazione libro
Mercoledì 06 marzo 2013 – ore 19,00
Monastero S. Rosa – Viterbo
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Seminario di Studio
Giovedì 17 gennaio 2013 – ore 15,00
Pontificia Università Antonianum – Aula A
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Cronaca dell’evento
di Michele Camaioni
Seminario sul libro di Anna Maria Valente Bacci, Una leggenda tedesca di Santa Rosa (secolo XV). Codex sangallensis 589, Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, Studia I, 2013.
Un nutrito e variegato pubblico composto da religiose, religiosi, studenti ed esperti del settore ha preso parte giovedì 17 gennaio 2013, presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, alla presentazione del libro Una leggenda tedesca di Santa Rosa (Secolo XV). Codex sangallensis 589 (Viterbo 2012), primo volume della collana Studia del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo – Onlus (www.centrostudisantarosa.org). L’incontro, organizzato in collaborazione con l’Istituto Francescano di Spiritualità e con il Centro Culturale Aracoeli, è stato moderato dal preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, padre Pietro Messa, e ha visto l’intervento dei professori Loredana Lazzeri e Marco Bartoli della Lumsa di Roma. Alla presenza della curatrice, la docente di Filologia germanica Anna Maria Valente Bacci, i due relatori hanno tracciato un quadro di sintesi della letteratura agiografica tardomedievale, evidenziando le peculiarità di un’iniziativa editoriale, quella promossa dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, che permette di illustrare un capitolo assai particolare e significativo della vicenda agiografica della santa viterbese.
L’opera, infatti, propone l’edizione critica con testo a fronte in latino e in italiano di una rara versione della legenda di santa Rosa, che fu composta in dialetto alemanno, alla fine del Quattrocento, da e per le terziarie regolari francescane della comunità sangallese di St. Leonhard. Si tratta, allo stato attuale delle ricerche, di un testo unico nel panorama della letteratura agiografica tardomedievale di area germanica, nel quale Rosa da Viterbo viene fatta oggetto di una venerazione inconsueta per le regioni di lingua tedesca, ricevendo dalla terziarie di San Gallo il titolo di «patrona e protettrice di tutto il nostro ordine» e il riconoscimento di una posizione di primazia analoga a quella che, nel ramo maschile del Terz’ordine, era attribuita a Elzear di Sabran.
Come segnalato nella premessa del volume, «l’episodio di St. Leonhard», unico caso ad oggi noto di una devozione per Rosa da Viterbo «in lingua volgare» al di fuori dalla penisola italiana, testimonia dunque «l’assunzione di Rosa nel pantheon del nuovo francescanesimo femminile osservante». Di qui l’interesse per il codex sangallensis 589 e per il Compendio della vita della santa vergine santa Rosa, che in esso viene tramandato insieme alle Deutsche legenden di altri sei santi particolarmente venerati nell’area svizzero-tedesca durante il XV secolo (si tratta di Chiara di Assisi, Bernardino da Siena, il citato Elzear di Sabran, Ivo di Britannia, Pantaleone e il re Ludovico/Luigi di Francia).
La prof.ssa Lazzeri, docente di filologia germanica presso la Lumsa di Roma, ha rimarcato l’importanza dell’opera di pubblicazione delle fonti sulla santa viterbese avviata dal Centro Studi Santa Rosa, segnalando come l’edizione critica della leggenda del codex sangallensis 589 colmi una significativa lacuna editoriale dopo la minimal edition di Patricia A. Giangrosso, la quale oltre venticinque anni fa aveva pubblicato quattro delle sette vite di santi contenute nel codice di San Gallo (cfr. Four Franciscan saints’ lives: German texts from Codex Sangallensis 589, Stuttgart 1987; le vite pubblicate sono quelle di Bernardino da Siena, Rosa da Viterbo, Elzear di Sabran e Ivo di Britannia).
Lodevole sotto il profilo della descrizione codicologica e paleografica, l’edizione della Giangrosso non si presenta invece particolarmente accurata sotto il profilo filologico. Ciò ha motivato l’esigenza, avvertita dalla curatrice, di una vera e propria edizione critica di questo particolarissimo racconto agiografico della vita di Rosa da Viterbo, collocabile secondo la Valente Bacci a metà strada «tra il genere della Heiligenpredigt, ‘predica sui santi’, e l’altro simile della legenda nova», il genere narrativo più diffuso nel Medioevo che, com’è noto, trovò nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze la sua espressione più nota. Come ha ricordato la Lazzeri, le vite dei santi potevano essere destinate all’uso liturgico, oppure alle lettura in pubblico e in privato, tanto nelle chiese quanto nei monasteri: nel primo caso il testo assumeva connotati di brevità e semplicità, favorevoli a una compresione la più larga possibile, mentre i racconti agiografici composti per finalità letterarie oltre che religiose presentavano, ordinariamente, una struttura più articolata e complessa.
Il Compendio della vita di Rosa da Viterbo tramandato dal codex sangallensis 589 si pone in una posizione intermedia tra questi due generi, presentando inoltre caratteri di originalità anche in relazione alle sue fonti. La prima parte dell’opera dipende dalla cosiddetta Vita secunda, una redazione latina anonima risalente ai primi decenni del XV secolo. In essa si narrano la nascita di Rosa, la manifestazione della sua santità sin dalla fanciullezza, la grave malattia, le visioni di anime, l’apparizione della Madonna e di Gesù Cristo crocifisso, la predicazione contro gli eretici, la condanna all’esilio, la guarigione miracolosa di una cieca. La seconda parte del testo tedesco, che narra alcuni episodi post mortem attribuiti all’intercessione di Rosa, appare invece seguire una strada originale: accanto alla Vita secunda, infatti, si nota la presenza di altre fonti non identificate, che non dipendono né dalla citata Vita secunda, né dalla Vita prima, il frammento più antico sulla vita della santa. Secondo la Lazzeri, l’individuazione di queste “fonti segrete” della vita tedesca di Rosa da Viterbo potrebbe costituire una proficua pista di ricerca in ambito filologico: l’edizione del testo del codex sangallensis 589 da parte della Valente Bacci costituisce, in questa direzione, un incoraggiante viatico.
Si è concentrato invece sugli aspetti più prettamente storico-letterari dell’opera il professor Marco Bartoli, docente di storia medievale presso la Lumsa di Roma ed esperto di storia del francescanesimo, con particolare riferimento alle vicenda di Chiara di Assisi e al ramo femminile dell’ordine. Nella sua relazione, Bartoli ha sottolineato come quella di Rosa da Viterbo sia «una storia al femminile», non solo in quanto furono delle donne a diffonderne il culto con la parola e con gli scritti, ma anche per il contenuto stesso delle leggende agiografiche composte intorno alla santa viterbese, compresa quella del codex sangallensis edita dalla Valente Bacci. Bartoli ha notato inoltre come, secondo il sistema dei topoi tipico del genere agiografico, anche la vita tedesca di Rosa presenti le caratteristiche di un testo performativo, per dirla con Timothy Johnson: si tratta, infatti, di un racconto adatto alla memorizzazione e alla lettura pubblica nelle occasioni liturgiche, pensato per diventare «forma», modello di vita per i fedeli – religiosi ma non solo – cui era indirizzato. Sono queste le ragioni che spiegano le affinità della leggenda tedesca di Rosa da Viterbo con altre vite di santi il cui culto era particolarmente diffuso nel medioevo, da Nicola ad Agnese, da Agata a Chiara di Assisi.
La vicenda di Rosa da Viterbo narrata nel codex sangallensis presenta tuttavia anche delle peculiarità proprie. Tale è, per esempio, quella che Bartoli ha definito la «mediazione sacerdotale e linguistica» che lega l’episodio della conversione della giovane Rosa grazie alle prediche di alcuni frati minori della sua città, alla scelta del dono totale di se stessa a Cristo e ai poveri adottata in seguito a una malattia e alle visioni di Cristo e della vergine Maria (da segnalare come il racconto di quest’ultima visione risulti molto vicino a quello di un analogo episodio riferito da una testimone nel corso del processo di canonizzazione di Chiara d’Assisi). A detta dell’anonima autrice della leggenda tedesca, proprio l’esperienza della malattia avrebbe conferito alla pia donna viterbese il dono della profezia, secondo una dinamica coerente con la concezione medievale che vedeva nei morenti una sorta di “ponte” tra il mondo terreno e l’aldilà.
Al tema della profezia e della visione della Vergine si lega, inoltre, quello assai delicato della «parola pubblica»: narra infatti la leggenda agiografica che su suggerimento esplicito della Vergine, Rosa da Viterbo si dedicò a un’intesa predicazione di carattere penitenziale, volta a ricondurre alla fede i peccatori e a smascherare le ipocrisie degli eretici ariani. Si tratta, caso non unico ma comunque significativo per l’epoca, della predicazione di una donna laica, semplice, di cui veniva tuttavia tollerato il ruolo pubblico in virtù del riconoscimento di una speciale rivelazione e ispirazione divina. Particolarmente aspro è lo scontro – e si avvertono in questa parte del racconto gli echi della contemporanea predicazione antiereticale svolta in area tedesca dagli osservanti, Giovanni da Capestrano in primis – che Rosa ingaggia con i catari. Animata da un desiderio di martirio che la avvicina alle grandi figure femminili della tradizione agiografica, da Umiliana de’ Cerchi a Chiara di Assisi, la pia donna di Viterbo si rende inoltre protagonista di una decisa azione anti-ghibellina, guadagnandosi per questo motivo l’espulsione dalla propria città. L’episodio dell’allontanamento di Rosa da Viterbo ad opera del podestà e degli eretici non trova riscontro nella documentazione storica, ma il suo inserimento nella vita tedesca del codex sangallensis induce a ritenere, quantomeno, che esso venisse ritenuto verosimile dall’autrice della leggenda e dal suo pubblico di riferimento, vale a dire le terziare di San Leonhard, che proprio in quegli anni, a cavallo tra XV e XVI secolo e poi nei decenni seguenti, si sarebbero trovate a difendere il proprio monastero dagli attacchi dei protestanti. A questa resistenza, che durò fino agli anni ’70 del Cinquecento, la figura proposta dal codex sangallensis di una Rosa da Viterbo paladina della fede cattolica contro gli eretici e le ingerenze ghibelline, potrebbe aver offerto una fonte di ispirazione ideale. Si tratterebbe, secondo Bartoli che riprende qui una suggestione di Giovanni Miccoli, di uno di quei casi in cui l’agiografia, esercitando il proprio influsso sulla mentalità di una determinata comunità o gruppo sociale, avrebbe contribuito a fare la storia.
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